Venerdì 12 novembre 2021, a Udine, presso l’Auditorium dell’Istituto Tecnico Antonio Zanon, un attento gruppo di studenti del Liceo Scientifico Giovanni Marinelli ha incontrato i poeti e scrittori Davide Rondoni e Gian Mario Villalta per dialogare, nell’ambito dell’iniziativa “Sguardi di poeti” – p. David M. Turoldo a 105 anni dalla nascita, sul tema La poesia accende la vita: itinerari di lettura da Dante a Turoldo.
L’incontro è stato organizzato dal Centro Studi p. David M. Turoldo di Coderno di Sedegliano, grazie al Contributo della Regione Friuli Venezia Giulia e in collaborazione con il Liceo Marinelli, la Fondazione PordenoneLegge, l’Associazione culturale e musicale “Armonie”, il Comune di Sedegliano e l’Ente Friuli nel Mondo.
Abbiamo chiesto al professor Valerio Marchi, presente per il Marinelli assieme alle professoresse Marcella Zampieri e Rosanna Zoff, di offrirci un sintetico resoconto di quanto espresso dai relatori.
Passare un po’ di tempo con Gian Mario Villalta e Davide Rondoni a parlare di poesia e di p. Turoldo rinfresca l’anima.
«Turoldo – ha esordito Villalta – ebbe una vita dura tra povertà, fame, guerre, fascismo; nondimeno, ha sempre raccontato in poesia il mondo in cui è vissuto, scrivendo cose meravigliose». E certo, il mondo di oggi è ben diverso da allora, perché «offre una grande quantità di opportunità e soddisfazioni, dando modo di intrattenersi tutto il giorno con cose che Turoldo non aveva. Tuttavia, la vita ancora ci chiama, eccome! Il mondo, che è più grande di noi, ci chiama, le cose ci chiamano…». Ma a che cosa siamo chiamati? «A non omologarci – proprio come ha insegnato Turoldo –, per ricercare invece un’unità superiore, per dare un senso al nostro trovarci nel mondo con la parola, a fare poesia: il mondo ci invade, sì, ma ci chiede anche di farne parte, di cogliere una vita superiore e formulare un pensiero più vasto».
Ciò è possibile in quanto, come ha ricordato Rondoni, «la poesia è sempre esistita tra gli uomini, e sempre esisterà: ma – attenzione – essa esiste tra gli uomini vivi, quelli per cui la vita è una cosa che sta succedendo, non una cosa che sappiamo già», perché «non serve a intrattenerci, ma a conoscere meglio l’esistenza». D’altronde, lo stesso Turoldo diceva: «Occorre combattere la miseria e salvare la povertà, intendendo per “povertà” l’atteggiamento con cui dalla vita ci lasciamo ancora colpire: non stiamo parlando, cioè, di non possedere nulla o di disprezzare le cose e il mondo, bensì di essere ancora capaci di stupirci, commuoverci, essere feriti, inquietati, interrogati dall’esistenza». Già, perché se questo non succede più, allora vuol dire che «siamo morti, ma non ci hanno ancora avvisati…». È proprio la voce dei grandi poeti che, talora, ci ridesta: la poesia è «un modo per restare svegli, vivi, ed è possibile perché non è slogan, perché è fatta da parole che si movimentano di fronte alla realtà che ci chiama: non frasi fatte e banali, dunque, non le parole solite che ci mettono in bocca i media, i social, il linguaggio comune, e tantomeno le chiacchiere che riempiono tutto ma, alla fine, annoiano».
Sul concetto di «povertà» si è soffermato anche Villalta, specificandolo così: «Avere tutto quel che serve per una vita decente, senza cercare l’inutile superfluo; ma anche avere qualcosa che è solamente tuo, proprio della tua vita, che non vogliamo vendere e che manteniamo con dignità, decenza, al meglio del possibile». La miseria, invece, è un’altra cosa: «Essa significa che non hai facoltà di esercitare la tua vita, che ti viene tolta la possibilità di vivere pienamente ciò che sarebbe inappropriabile da altri, e per questo va combattuta». Se ci interessa la poesia, allora, è perché ci interessa veramente la vita.
«Una vita accesa, attenta – chiarisce Rondoni – che non perde per strada le cose, le circostanze, le persone: la vita di chi vuole essere “colpito” dalla vita, per provare a rispondere a quei colpi con parole adeguate». È per questo che «non c’è cosa peggiore – anche a scuola, purtroppo – del sentire persone che parlano di cose importantissime con parole morte, con chiacchiere spente»: la poesia, infatti, è «una cosa importante, seria», e Rondoni l’ha compreso sin da quando, mentre era ancora un ragazzo, vi si è cimentato. Ma – ci domandiamo – i giovani sono predisposti alla poesia? Senz’altro sì, e possiamo dire che, talvolta, il loro problema possono essere, paradossalmente, gli insegnanti e il sistema di insegnamento: «Bisogna finirla – sostiene infatti Rondoni – con la fredda e impersonale storia della letteratura e della poesia, e capire che in realtà tutto o molto dipende da come ci rivolgiamo ai ragazzi».
A questo proposito, il messaggio di Turoldo – aggiunge Villalta – è fondamentale, perché «insegna che dobbiamo ascoltare sempre la voce degli altri; il suo cammino l’ha portato all’ascolto e alla frequentazione della parola biblica, con il desiderio di avere una risposta colma dalla risposta di Dio: sporgendosi, sì, oltre il linguaggio quotidiano, ma rimanendo sensibile al mondo che ci circonda, sentendo e vedendo la vita, parlando continuamente alle persone senza fermare mai la poesia, che Turoldo chiamava “canto” per sottolineare la musicalità della parola che crea relazione col mondo». Occorre dunque ribadire che «i ragazzi sono ben predisposti alla poesia, basta saperci fare aiutandoli a ritrovare la parola originale proprio mentre sono frastornati dal rumore di questo mondo». Ed è per l’appunto l’esperienza della lettura a portarci una voce che è anche la nostra: quando si legge, infatti, «c’è anche la nostra voce, la nostra immaginazione», e non dobbiamo mai accontentarci di un discorso che altri fanno su di noi; occorre, piuttosto, «fermarci sul senso delle parole, su ciò che esse vogliono dire veramente per ciascuno di noi. Come scriveva Seneca, “passiamo tutta la vita a fare altro” (altro da ciò che è la nostra vita, altro rispetto a chiedersi chi siamo e cosa vogliamo essere): così, la vita passa veloce e, a un certo punto, rischia di essere troppo tardi…». A scuola, dunque, «abbiamo davvero un problema, perché troppo spesso tutto quello che c’è scritto intorno alla poesia diventa più importante della poesia stessa, e rischiamo di leggere e discutere in rapporto ad uno spartito di cui, però, non abbiamo mai ascoltato la musica».
Ancora sul tema della «povertà» è tornato Rondoni, portando alcuni esempi tratti dalla Ginestra di Leopardi (il quale, fra l’altro, ha cose in comune con Turoldo) e osservando che «la natura non è quella bella cosa azzurrina e “green” delle pubblicità: essa è bellissima, certo, ma anche tremenda, è anche una calamità, o il tumore che porta via un giovane… “Uom di povero stato membra inferme”, scriveva Leopardi: e tutti noi siamo così, perché nella natura siamo mendicanti e dobbiamo tornare alla poesia con atteggiamento “povero”, da fanciullo che si pone di fronte al mondo con curiosità, con stupore, rinnovando lo spirito dell’infanzia». La poesia chiede sempre direttamente a ciascuno di noi: «Tu, a che livello vuoi stare dell’esistenza? Una volta letto l’Infinito di Leopardi, ad esempio, ci interessa impararlo per passare un esame oppure per provare a stare al suo livello meraviglioso, a misurarci con l’Infinito?». Il fatto è che tutti noi dobbiamo fare la nostra parte, perché la poesia è anche «il lettore con la sua risposta, è ciò che succede fra noi e quel testo, è esperienza personale; altrimenti la poesia non succede, anche se di una poesia sappiamo tutto». E non è vero che, come diceva Saint Exupéry, «l’essenziale è invisibile agli occhi», anzi: «Il finito è proprio il luogo di segni che ci fanno comprendere l’infinito». Finito e infinito, dunque, non vanno contrapposti, giacché «i segni sono essenziali e visibili, e l’infinito non è qualcosa che non finisce sull’asse della durata e dello spazio, bensì una dimensione dell’esistente; i segni finiti di ciò che è infinito sono tanti e dobbiamo essere educati a coglierli, perché troppo spesso ci sfuggono e non sappiamo interpretarli neppure nel nostro territorio o in chi sta vicino a noi».
Quando, poco prima dell’inizio dell’incontro, ho chiesto a Villalta che cosa ne pensa del titolo di un bel libro di Donatella Bisutti – La poesia salva la vita –, mi ha risposto: «Io direi “la poesia è la vita”». Direi che non serve aggiungere altro.
Valerio Marchi